Filosofia

L’esercizio della filosofia come ricerca dell’essenza.

Saggezza pratica e sapere. Phronesis e Pragma Sophia.

La nascita della filosofia, nella sua ambivalenza di una forma di aspirazione al sapere, riluce di intenzioni, attriti, scissioni, scosse e unioni. Facile intuire che affondi nei primordi inaccessibili, se non per vie letterarie e filologiche, del IV e V secolo nel Mediterraneo, nell’Egeo. Greca con derivazioni asiatiche, questa pare sia la sua nascita misteriosa. Difficile individuare il primo utilizzo del termine greco philosophia e dei suoi derivati philosophos (filosofo) e philosophein (filosofare). La tradizione risale a Talete, oppure a Pitagora basandosi su fonti di Diogene Laerzio. Pare che nasca a Mileto, città che a quei tempi era situata nei pressi della costa dell’Asia minore, terminale dei commerci che collegavano la Mesopotamia alle coste del mar Egeo. Erodoto, originario appunto dell’Asia Minore, nei suoi numerosi viaggi andò a vivere anche ad Atene. È forse proprio nella sua opera che si incontra per la prima volta il riferimento a una attività “filosofica” che però si sviluppa e si consolida come socratica. Furono i Socratici a fare, per primi, un uso ampio della nozione di filosofia/filosofo, identificando con essi Socrate e la sua pratica discorsiva. La radice originaria dell’istinto filosofico è problematica, perché muove dalla volontà di svelare, comprendere, capire ciò che appare incomprensibile, o poco convincente, è questa la nascita mediterranea e arcaica dell’amore per il sapere. Una reazione alla meraviglia, allo stupore, alla paura. Del creato, del mondo, del fato. Un espediente dell’intelletto che serve a vivere.

L’abitudine di suddividere la storia della filosofia in prima e dopo Socrate è piuttosto recente, intorno al 1900 con Diels e poi Kranz, filologi tedeschi e rappresenta una convenzione storiografica. Socrate si interessa all’uomo non alla natura.

Che ogni azione sia guidata da un pensare è, con queste premesse, questione della più antica tradizione filosofica. Che il retto pensare, credere, intendere sia condizione necessaria per un agire orientato al bene, utile o ideale diremmo noi contemporanei, è riflessione della prima grecità. Empedocle, fu il primo pensatore a cui dobbiamo il concetto di princìpi che governano l’ordine delle cose, concordia e discordia. Scriverà in due poemi, pervenuti in frammenti, della costituzione del mondo e dell’amore come unica potenza del bene contro il potere distruttivo della discordia che separa gli elementi.

Dopo Socrate e Platone, Aristotele dedicherà una parte importante della sua Etica Nicomachea (libri VIII e IX) alla discussione sulla philia, tradotto  con “amicizia”. La philia mette insieme in vincoli di affinità. Per Aristotele la forma più nobile di amicizia è quella che non si basa solo sull’utile o sul dilettevole, ma sul bene. Per Aristotele la vita migliore è quella dedita alla riflessione meditativa. Il filosofo, sarebbe dunque l'”amico del sapere”, cioè del conoscere, non per usarlo come mezzo o solo per piacere intellettuale, ma come fine a sé stesso, conoscitivo, accrescitivo. Il conoscere è legato a sophìa, sapienza, conoscenza. Aristotele il grande raccoglitore, il selezionatore, l’incasellatore,  greco di cultura, ma macedone perciò straniero per provenienza, distinse inoltre per la prima volta la sapienza dalla saggezza. Fino a Platone i due termini indicavano semplicemente la condotta razionale della vita umana, cioè la saggezza. Dopo di lui i saperi si dividono in pratici e teoretici. Aristotele tende a valorizzare la risoluzione socratica della virtù in competenza, mira alla descrizione della sua capacità operativa, che gli appare tecnica come quella di geometri ed architetti, e non condivide l’idea socratica che il sapere basti a determinare la volontà del bene. Aristotele ha di fatto rinunciato ad una critica veritativa delle assunzioni di valore proponendo la tesi di un’origine della virtù non puramente razionale, ma consuetudinaria e sociale. Scrisse «Non è possibile essere virtuosi senza la saggezza, né essere saggi senza la virtù etica.»

In Platone phronesis si configura come quell’intelligenza riguardo alle cose umane. Platone non distingueva tra loro sapienza  e saggezza che Aristotele distinse e contrappose in due termini. In italiano, saggezza e sapienza hanno acquistato e mantenuto nei secoli una spiccata cifra semantica: etica la saggezza, noetica la sapienza. La sapienza di sofia, della parola filosofia, va quindi letta in italiano nel preciso valore semantico di sapienza. Nelle meravigliose pagine del Fedro in cui Platone afferma che l’amore deriva dalla bellezza e che essa promana nel sensibile dell’essere dalle qualità migliori dell’anima, phronesis è usata per dire bellezza interiore, come composizione di virtù speciali, unica visibile tra tutte la bellezza è l’accesso al divino. “Quali amori smisurati provocherebbe la phronesis se si potesse vedere!”

Aristotele suddividerà la sapienza come condotta e come sapere inaugurando quella teoreticità astratta che la filosofia ha impersonato per secoli, senza peraltro perdere la specificità che la caratterizza, acquisendo però una vaghezza e uno status di aleatorietà e fumisteria che ancora nel sentire comune la avvolgono. Mantenere perciò l’idea che la filosofia sia un supporto collocabile all’interno della riflessione etica e non noetica, cioè legata solo al comportamento e non alla conoscenza è l’estrema riduzione a merce di scambio spendibile nel mondo contemporaneo, una maschera commerciale. Che essa sia individuabile come analisi mentale, di pensieri, di teorie, di ideologie,  la spezza peraltro in un dualismo intellettuale per il quale la riflessione guida l’agire, assunto quanto mai dubbio ma dato per assodato. L’agire, azione, prassi, si genera come mescolanza di istinto, ragione, sensazione, intuito, interesse, natura, attitudine.

L’accezione precedente cioè socratica e platonica intende Filosofia come amore per il sapere. Filosofia è la passione per il sapere che ci lega alla vita ogni giorno. La connessione vita, sapere e filosofia indica chiaramente che la filosofia è perciò saper vivere. E’ probabilmente qui che si può individuare una via d’uscita filosofica dall’imbuto aristotelico. Nulla a che fare con l’aristotelica teoresi, o etica neutra e indefinita, senza escluderle certo ma senza dividere tra esse e categorizzare l’esistenza. L’accostamento aristotelico di filosofia e pensiero è fuorviante e rende debole il ragionamento. Il pensiero viene sempre dopo la realtà. L’immediato accadere delle cose è il primo dato di verità fattuale. Se questo è vero fare filosofia significa aver coscienza di vivere nella vita. E’, detto altrimenti, riconoscere che la necessità di  imparare la vita è la vita stessa, e per farlo –  oltre a vivere – concorrono idee, concetti, azioni, riflessioni e verifiche. Come a scuola, dove oggi si rinchiude il sapere, scholé parola dimidiata che ab origine significava tempo sottratto al lavoro, oggi invece sempre più traduce addestramento al sistema. Non è il lavoro quindi, seguendo questo ragionamento, l’ambito di realizzazione dell’uomo, topos otto/novecentesco come sintesi di realizzazione dell’umanità, quanto piuttosto il tempo da esso libero, di greca memoria, scholé. Il tempo dedicato ad imparare a vivere. Che si caratterizza come tempo dedicato alle cose più nobili, alte, della conoscenza e dell’amicizia, della vita.

In un certo senso la phronesis aristotelica offre uno strumento di adattamento socio politico ideale: se esiste una saggezza pratica, come Aristotele intende phronesis, e l’uomo può esercitarla per connettere pensiero e azione in modo che possa comprendere la realtà, e comporre la visione del mondo individuale, ebbene chi può garantire che una visione del mondo non possa essere illusoria, facilmente indotta e costruita, manipolata, suggerita in sua vece? L’uomo così diventa oggetto malleabile e influenzabile che si auto illude di avere un’idea personale di vita e una visione del mondo, mentre è il mondo che con un artefatto sistema di coercizioni e lusinghe proietta sull’uomo la sua ombra significante. La consapevolezza di avere una visione del mondo allude ad una coscienza. Il filosofo che interpreta e  “disegna” questa presupposta coscienza diventa così l’adattatore sociale. La saggezza pratica si adatta al mondo, è la matrice mondana della vita sociale. Ben diversa appariva la phronesis platonica, o sophìa, che piuttosto incarica l’uomo, ogni uomo e donna, di esercitare la propria psyché, la propria anima per imparare a vivere.

Altra considerazione è la caratteristica della Filosofia al suo apparire. Essa è attiva, comune, perché co-involge, dal non sapere innalza verso il sapere, o tenta di farlo. Dal non sapere al sapere: il conoscere accresce il saper vivere e questo richiede esercizio. L’esercizio di vita è esercizio filosofico. Come intendere un esercizio di filosofia? Qualsiasi atto con cui si addestri il corpo e si applichi la mente, da exercere verbo latino. Per chiarire cos’è la filosofia come esercizio occorre anche spiegare cosa fa, che esercizi propone. La filosofia infatti fa cose. Quali sono le cose che è in grado di fare la filosofia, tutta? Argomentazioni, analisi, discernimento, evocazioni di immagini, inventare storie, riepiloghi, connessioni, rimembranze, nuovi linguaggi, elucubrazioni, teorie, spiegazioni, identificare problemi, scoprire possibilità, lumeggiare soluzioni, sperimentare vie inesplorate. Apre all’infinito. Trascende sempre, la filosofia, porta sempre altrove, cioè rimanda e indirizza verso altro, l’altro, l’oltre, sempre. E’ senza uscita univoca, non è un sistema ordinato. Un esercizio di filosofia è perciò sempre possibile quando accadono “cose” trascendentali, poiché rinviano costantemente altrove, delocalizzano il pensiero, lo fanno realmente circolare, “cose” come quelle sopra elencate che possono accadere in spazi di vita quotidiana.

Se l’origine della filosofia si determina come saper vivere allora appare tradita nella sua intima idea originaria, l’Eidos socratico platonico, che non conduce come pensava Volpi ad un irrazionalismo astratto ma piuttosto ad una ripresa socratica che chiede all’umanità di ripensare il proprio modello, eidos. Il vicolo cieco che la ripresa della filosofia pratica tedesca del ‘900 – questo è in fondo il progetto che mette al centro la phronesis aristotelica,  e l’idea di pratica filosofica – , mette in luce, come Volpi ha invece già in anni ormai lontani evidenziato in maniera esaustiva – è di fatto la semplice ripresa delle tematiche relative agli ambiti di etica-politica-diritto della vecchia filosofia pratica, tematiche che la tradizione marxista e prima hegeliana tedesca colloca nel quadro prassi, dinamica servo/padrone, produzione, capitale, dialettica, logica. Idealismo e marxismo. Individualismo e massificazione. Ideologie  che inquadrano l’individuo in macrosistemi socio politici di matrice totalitaria e di massa.

Se prendiamo per valide le premesse aristoteliche relative all’etica e alla saggezza pratica (phronesis) allora l’oggetto della filosofia pratica è il bene supremo praticabile o fine ultimo delle azioni umane, e questo fine ultimo è la felicità. Così determinata la filosofia pratica dovrebbe essere indirizzata alla ricerca della felicità, e i filosofi pratici presentarsi come esperti ricercatori della felicità.  La cornice, costruita dalla logica politica liberale progressista materialista e ametafisica occidentale rimanda alla concezione dell’uomo come puro inconsapevole dato biologico, atto a comportamenti infondati, orientati al nulla, in balia di impulsi di diversa natura, ambientali, fisici, mentali, che non può controllare. La felicità occidentale è fatta quindi di accumulo e sperpero di beni materiali, soddisfazioni di impulsi animali, godimento ozioso, sopraffazione e sfruttamento, agonismo e culto del malaffare. Grazie Aristotele. Neppure la penultima versione dell’etica aristotelica, cioè lo stoicismo, pare potersi adattare all’idea di phronesis proposta oggi, nonostante le evidenti assonanze, spesso non dichiarate. Il fine dello stoico è l’atarassia, non la felicità. La società odierna rifugge l’atarassia, ovvero il controllo delle pulsioni, piuttosto anzi ne propone il completo dispiegamento, lo sfogo totale. Quanto alla questione pratica filosofica o filosofia pratica il discorso si chiarisce facilmente. Una semplice inversione linguistica non produce affatto effetti concreti tali da parlare di svolta. Come mosche intrappolate o i richiusi della caverna platonica, sbattiamo contro il vetro che ci costringe e continuiamo a vedere le stesse immagini proiettate nelle pareti della caverna.

Piuttosto è un ritorno alle origini –  come il salmone che nuota a ritroso, risale la corrente – di cui si deve discutere. Appunto Socrate e Platone. Idea è la traslitterazione del greco eidos che significa forma che deriva dal verbo idein che significa vedere. Con Platone idea indica il vero essere delle cose, la loro natura interiore, l’essenza. L’occidente filosofico ha perso la sua essenza.

Le obiezioni di chi dice che non è possibile replicare le esperienze della filosofia greca, implicitamente negando il legame tra i primi pensatori e noi oggi, è talmente debole che sarebbe come dire che poiché non è possibile che si ripeta l’ascesa di un dittatore criminale, perché non si possono replicare gli eventi del passato, per le loro caratteristiche specifiche socio culturali e geografiche ad esempio, non potrà mai più accedere un olocausto. Il che è ovviamente falso, nulla vieta e non è possibile dire che è impossibile che domani un folle politico prenda legalmente il potere e dichiari fuori legge una qualsiasi parte di umanità replicando quanto accadde nella prima metà del ‘900.

Tradita l’origine della filosofia la situazione filosofica del nostro tempo appare molto diversa o meglio confusa. Da una parte un’esaltazione della scienza e della tecnologia ben rappresentata da un linguaggio specifico e sorvegliato, che rispetti le indicazioni degli specialisti e le applichi con rigore, argomenti fondati su evidenze e prove, non suscettibili di confutazione, la sottomissione ai dati. Il filosofo può dire solo qualcosa di scontato, di già convalidato dalla scienza, noto a tutti e soprattutto evidente di per sé, presentandolo come una grande scoperta. Dall’altra, il ‘900 soprattutto, è stato il secolo del materialismo economico e dello scavare nel torbido, scrutare nel meandri del basso animalesco umano, scandagliare l’abisso per la consapevolezza del senso di colpa totalizzante e paralizzante, falsamente liberatorio. Il materialismo dialettico ha dominato il pensiero filosofico politico del Novecento fino al 1990 per poi decadere sommerso dai frutti di un pragmatismo politico ed economico europeo criminale e affamante. Tali sembrano le tendenze filosofiche del nuovo millennio: scientismo assolutista e prevalenza di istinti biologici. Tutto adagiato su di un substrato tardocapitalistico che dal 1990 è onninvasivo e globalizzante. .

L’habitus filosofico è mediocre. Il rigore, la scientificità, la credibilità e una qualche  dose di perbenismo oggi sono gli ingredienti sicuri per una visione del mondo razionale e affidabile, rassicurante e consona ai tempi ed allo spirito del mondo che ci governa e così i neo pensatori del nuovo secolo intendono solcare mari che sempre furono inesplorati e misteriosi con vascelli in materiali innovativi senza vele o anacronistiche braccia galeotte. Il filosofo è il primo difensore dell’ordine costituito. Traduce al volgo le direttive dei nuovi potenti liberal democratici. Conciliante, perbenista, consolatorio, rassicurante. Tutto si tiene per questi esegeti dell’ovvio del banale  e dell’oscuro scrutare.

Linguaggio, logica e scienza hanno occupato l’intero campo del pensiero e rifiutano un mondo fatto di parole aperte, di concetti e di idee, sono per un campo recintato con filo di ferrea logica, piantumato di ultime scoperte scientifiche e sorvegliato dai signori del nuovo linguaggio. Un metamondo, un oltregaia, un mondo rappresentato da fatti e di confutazioni, un platonismo realistico. Wittgenstein inaugurò questa proiezione intellettuale del mondo in fatti e  affermazioni apodittiche, ultimo e intimo terrore teutonico all’avvento della finis Austria, estremo tentativo di aggrapparsi al tangibile perché il caos dilaga. L’allucinazione di un ingegnere e matematico disperato. L’uomo resta un enigma. Se non è possibile fare nuovo l’uomo, fallimento progettuale del ‘900, facciamo nuovo e sorvegliato il mondo comune, la società. Da Platone quindi, idee sì ma sterilizzate dal filtro analitico razionale popolare, passando per la negazione di Nietzsche e del suo povero oltre uomo, fino a un Foucault manipolato: sorvegliamo e bandiamo chi non ha i requisiti che noi stabiliamo. Il mondo vero rifiutato per il mondo virtuale.

Posto il sacro tra parentesi, cercando di collocare l’uomo al centro dell’universo, potenziandolo con la tecnica e costruendo un mondo paradiso digitale, la questione religiosa è messa in sgabuzzino. Collocata fuori scena, relegata alla stregua di credenza popolare, illusione dell’immaginazione, prodotto del potere secolare che inventa divinità per legittimarsi. Droga dei poveracci. Fiaba per bambini. Mitologia del passato.

Permangono e si consolidano derivati popolari di quel freudismo da bancarella –  vero colpo di grazia della filosofia del ‘900 – sesso, madre, istinto, uccisione del padre, che ormai da tempo è considerato, dai più accorti studiosi, nulla più che una teoria pseudo letteraria e psicologica. Residui e cascami che riaffiorano nel tentativo di promuovere terapie di pratiche che inseguono concetti e termini di natura diversa inoculati dalla cultura decadente del pensiero debole occidentale per cui colpa, paura, illusione, menzogna, inganno sono tutte derivazione di una antropologia patologica deteriore che vede l’essere umano come substrato materiale e organico, malato insano, preda di speranze vane, perniciose assuefazioni, inconscio torbido, ricordi rimossi, infanzie tradite, madri anaffettive e padri dispotici, violenze e libidini sottostanti azioni ripugnanti. La vita come deresponsabilizzazione istituzionalizzata, la sparizione della responsabilità e l’invenzione dell’inconscio.

Breve inciso. Tale substrato, o inconscio, scandagliato dai sacerdoti della psiche, con la terapia della parola quando non otturato con farmaci, se indagato e emendato non accade nulla. Nullo è infatti l’effetto medico biologico scientifico di qualsiasi pseudo terapia psicobasica, su di  una persona con difficoltà riconducibile al mal di vivere, che non sia la chiarificazione emotivo razionale di una situazione esistenziale. Cioè filosofica.

L’unione di queste due tendenze – scientismo assolutista e prevalenza di istinti biologici – in contrapposizione alla tradizione metafisica, religiosa e filosofica che ha dato inizio alla storia del mondo pensato, ha creato una massa di informi sapienti, di inermi non pensanti, di pseudo scienziati,  che uniscono un gretto e arido materialismo ad un indefinito moralismo composto di una etero-etica progressista priva di indirizzo spirituale. Applausi per Nietzsche.

In questo tempo non ha propriamente senso parlare di phronesis, intesa come da tradizione aristotelica, è fuorviante e manipolatorio. Trattare la capacità di decidere consolidando i confini del conoscere e affermandoli nella esatta disposizione dei tempi di mezzo in cui ci troviamo è operazione mistificatoria, illusoria e malevola. Illusione di filosofia è quella che crede di illuminare con discorsi chiarificatori mentre annienta la concordia e la separa dal vivere recludendo intime passioni e conoscenze superiori. Trascinare al basso ciò che tende all’alto è operazione di meschineria filosofica, quella che attualmente regna sovrana nel mondo derivato e postumo in cui ci troviamo a vivere.

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