Eliminando l’idea di educazione, in vista di un ipotetico e astratto ideale di liberazione, si va verso un irrazionale suicidio dell’identità di una civiltà. (G.M. Bertin Educare alla ragione 1968)
Il pensiero di Giovanni Maria Bertin rappresenta un importante contributo alla filosofia dell’educazione italiana del novecento – piuttosto misconosciuto – perché inattuale, gravido come fu di istanze filosofiche radicali come il problematicismo post idealista, la razionalità critica di Banfi, la fenomenologia di Husserl, l’attivismo di Dewey e la critica sociale e culturale di Nietzsche, tutte orientate verso un’utopia pedagogica di alto valore formativo.
Pedagogista e filosofo Giovanni Maria Bertin nacque a Mirano – Venezia nel 1912 e morì a Bologna nel 2002. Bertin si trasferì, quattordicenne, a Palermo, dove si iscrisse al Liceo Classico. Tra l’ultimo anno di Liceo e i primi due di Università, tra i diciotto e i ventun anni, nell’arco di un triennio, Bertin compose dodici novelle, pubblicate da un quotidiano di Palermo, «L’Ora», e un poema in prosa, prime opere giovanili. Con il trasferimento a Milano, nel 1933, si concluse l’età delle sue prime ed acerbe produzioni e con esse la sua breve e giovanile stagione letteraria; iniziò una fase nuova, che porterà Bertin a divenire, in breve tempo, uno dei più autorevoli esponenti della scuola banfiana.
G.M. Bertin trova nel rigore critico e antidogmatico dell’impianto teoretico di Antonio Banfi un esercizio imprescindibile, dal quale scaturiranno i suoi successivi e progressivamente più maturi lavori di ricerca. Laureatosi in filosofia all’università statale di Milano (1935), conseguì la libera docenza nel 1949; docente di storia e filosofia nei licei (1937-53), incaricato all’università statale di Milano (1945-53), fu docente di ruolo di Pedagogia all’università di Catania (1953-57) e di Bologna (dal 1957) e infine preside della Facoltà di Magistero di Bologna (1957-68).
Antonio Banfi fu il filosofo che introdusse in Italia, tra i primi, le principali correnti di pensiero provenienti dalla filosofia tedesca a cavallo tra ottocento e novecento. Banfi fece conoscere nel nostro paese il neokantismo della Scuola di Marburgo, la fenomenologia di Husserl, di Simmel e di Scheler e successivamente si accostò al pensiero di Marx. Banfi, proveniente dal pensiero idealistico trascendentale di Martinetti di matrice kantiana e leibniziana, elaborò una filosofia razionalista in opposizione all’idea di ragione dogmatica, vista cioè come cristallizzata in rigide categorie prefissate. Il filosofo propone una razionalità antidogmatica che assume come compito quello di svolgere una funzione critico-universalizzante nel campo del sapere, e nel contempo intende superare le conoscenze particolari per comporle in strutture gnoseologiche più organiche. Importante, come detto, fu anche il contributo di Antonio Banfi all’introduzione della fenomenologia di Husserl in Italia. Banfi attinge direttamente ai testi husserliani al loro apparire e, almeno fino al 1926, ha il privilegio di un confronto diretto con il filosofo di Prossnitz collaborando allo Jahrbuch, la rivista di ispirazione husserliana, anche se, come vedremo, Banfi intende la fenomenologia in maniera puramente metodologica rifiutando l’esito idealistico dell’ego cogito proposto da Husserl nelle Ideen (in Italia “Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica”).
Nel pensiero di Banfi, la filosofia assume un ruolo preminente nel comporre la problematicità dell’esperire e del conoscere attraverso un razionalismo trascendentale che si applica nei diversi campi del sapere. L’opera di Banfi costituisce la radice più significativa del pensiero razionalista e critico della proposta pedagogica di G. M. Bertin che partendo dall’analisi della problematicità dell’esperienza giunge a proporre l’idea fondativa di un’autentica educazione alla ragione.
Problematicismo e fenomenologia fanno riferimento ad una razionalità critica che intende indagare e interpretare il sapere e l’agire non in direzione di una costituzione metafisica, pur non negandola a priori, ma piuttosto verso un sapere di tipo operativo, progettuale e trascendentale, inteso come crescita e ricerca, e lo fa in decisa opposizione a qualsiasi forma di dogmatismo e pretesa di sistematicità; del resto sembra essere questa la direzione che parte del pensiero contemporaneo intraprende, dal neocriticismo all’ermeneutica.
Nel pensiero di Giovanni Maria Bertin convergono diverse componenti filosofiche contemporanee che si compongono in una teoria pedagogica organica, razionale e innovativa. La crisi dell’attualismo, l’esistenzialismo, Kant e il razionalismo critico, caratterizzano il pensiero di Bertin dagli anni ’30 agli anni ’60. In questo periodo, di lunga e complessa genesi formativa, l’autore assume la ricerca, il rinnovamento, l’autocritica come fondamenti di un pensiero “aperto”, da intendere sulla scia del criticismo e perciò non definitivo nei suoi esiti ma fortemente problematico e critico e perciò adeguato alla comprensione dell’umanità della società in trasformazione e delle sue contraddizioni.
Franco Cambi tenta una prima storicizzazione dell’opera di Bertin in La sfida della differenza e definisce giustamente l’autore. “Personalità inquieta che esaspera, già nel proprio io, i temi antinomici del razionalismo critico banfiano, espressi nell’esigenza di costruire la ragione non oltre la crisi, ma dentro di essa e con i materiali che questa offre.”
L’opera di Bertin, in modo schematico e sintetico, si può racchiudere e definire in quattro periodi, ognuno di essi definibile attraverso i diversi stimoli e i diversi orientamenti che lo compongono. Il primo è il periodo giovanile e formativo degli anni ’30 e ‘40 in cui Bertin è fortemente influenzato dal sentimento religioso-metafisico, un certo romanticismo estetico, intimistico e irrazionalistico; il secondo è periodo problematicistico e marxista, degli anni ’50-‘70, che culmina con il testo Educazione alla ragione. Infine l’ultimo Bertin, legato alla lettura pedagogica di Friedrich Nietzsche con Nietzsche: l’inattuale, l’idea pedagogica del 1977,e a alla progettazione esistenziale di Costruire l’esistenza, tra gli anni ’70 e gli anni ’80. Seguendo Banfi e il suo problematicismo Bertin sviluppa un itinerario intellettuale critico, aperto, razionale, etico e storico.
La forte valenza pedagogica e razionale è il contributo essenziale dell’autore alla riflessione sull’educazione contemporanea: Bertin afferma che è necessario educare la personalità dell’uomo razionale. Egli è l’uomo che vive le aporie, le contraddizioni e le sfide del mondo tecnologico e industriale occidentale che si trova ad operare in concreto nella società in cui nasce, cresce e si forma, e perciò Bertin teorizza un attraversamento e un superamento della crisi dell’umanità, quasi un nuovo programma illuministico-utopico. Bertin attinge al Banfi del problematicismo razionale dei Principi di una teoria della ragione e lo svolge in funzione sociologica ed etico-politica, filtrato dalla lezione di Dewey, in direzione della “terza forza” del socialismo libertario, più che del marxismo e comunismo del Banfi degli anni ‘50. La riflessione bertiniana è fondata sul concetto di filosofia dell’educazione e di unità e centralità dell’idea di ragione, “idea limite che agisce nel processo dell’esperienza come principio di dinamismo e di apertura.” Nel 1961 Bertin, dopo aver compendiato e raccolto l’eredità pedagogica di Banfi nel testo La problematicità dell’educazione e il pensiero pedagogico, sviluppa la sua personale teoria che nel 1968 pubblica in Educare alla ragione. L’analisi della situazione sociale e politica maturata dopo la seconda guerra mondiale impone per Bertin alla coscienza pedagogica l’intervento per il rinnovamento dei sistemi educativi. In Bertin la disamina della situazione esistenziale dell’umanità è lucida e disincantata: il modello di sviluppo economico e i suoi riflessi sociali, la minaccia nucleare, la guerra fredda, la fame, gli attriti di classe, di razza, rendono la società consumistica alienata e alienante. Ansia, nevrosi, affanno, insicurezza e degenerazione della qualità della vita, caratterizzano la società; il malessere investe l’umanità nelle sue espressioni culturali, politiche ed economiche. L’uomo deve farsi creatore di nuove forme di vita individuali e collettive, e la consapevolezza filosofica della realtà esige una definizione rigorosa dell’esperire che deve rendere evidente: l’universalità dell’esperienza, la funzione metodologica dell’epochè che da una parte metta tra parentesi e i pregiudizi dell’interpretazione del reale; l’idea trascendentale come principio regolativo da cui derivano l’indagine processuale e perciò aperta e la problematicità critica. Impegno etico e contrasto delle tendenze all’evasione risultano essere le caratteristiche rilevanti della personalità dell’uomo razionale che Bertin prospetta. Per educare alla ragione e all’impegno individuale, sarà fondamentale insistere sull’educazione intellettuale, etico-sociale ed affettiva, come pure sull’educazione estetica, fisica e professionale, che possiamo qui solo accennare, ma che meriterebbero un’analisi approfondita. Per Bertin l’educazione intellettuale è vista come sviluppo all’attitudine a risolvere la problematicità dell’esperienza, ad impostare con chiarezza la questione d’indagine, ad impostare strumenti e metodi, strutturando in categorie la realtà complessa dell’esperienza. L’uomo razionale dovrà formarsi attraverso la capacità di scoprire nuove relazioni, dovrà differenziare in direzione plurilaterale i propri interessi, essere consapevole della relatività di ogni ricerca, evitare l’astrattezza intellettuale, operare con flessibilità ed elasticità nel risolvere nuovi problemi. Bertin svolge una ricca fenomenologia della vita intellettuale e della metodologia ad essa congrua. L’educazione etico-sociale è l’accordo problematico tra le istanze egocentriche e quelle eterocentriche dell’individuo che si trova immerso in una rete di relazioni sociali e professionali che non può eludere; perciò l’educazione etico-sociale impone scelte che vadano verso lo sviluppo dell’altruismo, pur essendo possibile e prevalente l’egoismo, ovvero secondo l’ottica del promuovere le condizioni storiche e sociali per lo sviluppo individuale e collettivo, ossia di realizzare me stesso e permettere agli altri di realizzarsi. Importanti saranno in questo contesto l’educazione storico-sociale, il coraggio e la disponibilità, l’impegno per il cambiamento, l’educazione all’autonomia e alla responsabilità. L’educazione all’affettività è parte integrante dell’educazione etico-sociale e ha il compito di curare le tendenze soggettive vale a dire gli istinti, le tendenze, i desideri, le aspirazioni, le fantasie, nel loro svolgersi e reagire reciprocamente in modo da armonizzare e preservare il momento interiore di demonicità che costituisce l’individualità. E’ necessario perciò saper cogliere lo squilibrio affettivo e direzionarlo positivamente favorendo il rifiuto dell’unilateralità, educando con persuasione e suggestione alla sensibilità, al gioco, all’amore e alla religiosità, favorendo la vita di gruppo e avvalendosi dello studio dell’età evolutiva, della psicologia e della psicanalisi. Se l’educazione professionale è importante in Bertin per l’impegno etico e sociale, poiché sviluppa efficienza e abilità e educa all’etica del lavoro, l’educazione estetica e fisica sviluppano un’integrale formazione del gusto e delle sane abitudini del soggetto.
L’ultima annotazione sul pensiero pedagogico di G. M. Bertin, riguarda la sua impostazione del rapporto tra educatore e educando, che si trova in Educare alla ragione. Avevamo visto come l’autore fosse critico delle definizioni di Banfi sul ruolo dell’educatore come una sorta di guida spirituale o di artefice del destino altrui. Bertin, infatti, rifiuta un’impostazione di questo tipo, mettendo l’accento piuttosto sulla relazione educatore/educando caratterizzata come mediazione tra il mondo degli adulti e quello dell’infanzia e adolescenza. Se è fondamentale l’impegno etico, sarà importante qualificare l’attiva funzione educativa dell’ambiente e dello spazio educativo. L’educatore non può essere guida, il contesto moderno non può reggere una relazione improntata ad esclusività o ad eccessiva intimità, per la sua parzialità ed univocità, il maestro al massimo può essere modello. Per Bertin, infatti, è sempre la società che educa, con molteplici e diverse sollecitazioni, anche se essa non è per principio educante, anzi può essere, in ambiente sfavorevole, diseducativa. L’educatore assume il ruolo di mediatore sociale, di filtro, verso la ricerca dell’integrazione possibile, egli sceglie la forma pedagogicamente più adeguata. E’ fondamentale allora il rapporto tra educazione e ambiente, ambiente di vita, che l’educatore deve conoscere necessariamente nella sua diversa fenomenologia umana, sociale e materiale. La diversità del rapporto con l’ambiente influenza l’agire educativo, per Bertin la migliore relazione è l’aderenza reattiva, come capacità di stare attivamente nel proprio ambiente ed adeguatamente predisporre spazi e momenti educativi. L’educatore deve saper gestire e sostenere ambienti positivi e allo stesso tempo evitare ambienti negativi, deve saper favorire e stimolare attività libere di gruppo, che possano attivamente impegnare nel tempo libero, deve saper educare al rispetto e alla cordialità. Bertin parla di aderenza reattiva all’ambiente come capacità di insegnare l’ambiente, la sua storia, la sua geografia, il lavoro. I rapporti interpersonali tra educatore ed educando devono essere improntati cercando di evitare la simpatia come atteggiamento preferenziale, che può portare a non favorire l’originalità, influenzando e sviando il momento demonico che deve essere preservato e favorito come individualità attiva e da sviluppare. Un proficuo atteggiamento è quello che si accompagna a cordialità e che genera un’atmosfera affettiva e simpatia diffusa. Bertin parla di comprensione educativa come un tener conto della dimensione incognita dell’individualità, facendo attenzione all’indiscrezione evitando il compatimento e il favorire il vittimismo, l’educatore deve stimolare ad affrontare le responsabilità e a combattere. E’ assolutamente dannoso evitare i problemi all’educando, intelligenza ed equilibrio devono essere qualità essenziali dell’educatore. La capacità precipua dell’educatore è saper cogliere la personalità dell’educando, le sue tendenze, e operare a fini educativi, egli deve comprenderne a fondo le potenzialità. Non è sufficiente un atteggiamento comprensivo dettato da capacità di conoscenza profonda e attenta, è tutto l’ambiente che agisce, affiatamento, capacità di liquidare i complessi e i conflitti, le tensioni individuali e di gruppo, latenti o manifeste, è sulla costituzione di un adeguato ambiente che deve lavorare un educatore.
A quasi cinquant’anni di distanza è possibile cogliere il valore globale di un’opera come Educare alla ragione, la sua forza, la sua organicità, e il ruolo che occupa all’interno dello sviluppo del pensiero pedagogico in Italia; eppure questo testo si può considerare conclusivo di un periodo fecondo sia dell’autore che della riflessione pedagogica. Bertin non seppe intuire, e lo si può vedere nell’analisi della personalità eterocentrica, la direzione etico-sociale che, dalla contestazione del ‘68 e per tutti gli anni ’70, si sviluppò progressivamente in una svolta di critica radicale che portò a teorizzare, nei suoi esiti più estremi, l’antipedagogia. Come giustamente sottolineava Bertin, l’evasione eterocentrica, pur non ben definita, conduce all’alienazione parimenti alla direzione egocentrica, e, potremmo aggiungere oggi, conduce fuori da una razionalità critica verso l’irrazionalismo di posizioni contestatarie, anarchico utopiche, che nella realtà concreta si orienteranno verso l’eliminazione della stessa idea di pedagogia, verso un’idealizzazione astratta dell’idea di liberazione dall’alienazione in cui tutte o quasi le istituzioni ed i rapporti sociali vengono rifiutati come borghesi, conservatrici, oppressive. La storia degli anni ’70 vedrà imporsi l’oscuramento della ragione educativa, vedrà l’irrompere di un nichilismo annientatore. Per usare la metafora dell’albero, potremmo dire che se le radici sono la tradizione e l’albero è il sapere il cui frutto è l’educazione, in questo periodo storico si vorranno tagliare, con parte della pedagogia del dissenso, le radici dell’albero. Come scritto in epigrafe, Bertin lo sintetizzerà in maniera netta: “Eliminando l’idea di educazione, in vista di un ipotetico e astratto ideale di liberazione, si va verso un irrazionale suicidio dell’identità di una civiltà”.
Bertin, conscio del fallimento del tentativo di educare alla formazione di una personalità razionale che faccia dell’impegno etico il proprio fine, pubblicherà, nel 1977, il testo della sua svolta pedagogica Nietzsche. L’inattuale, idea pedagogica in cui al disgusto per la società del suo tempo con Nietzsche oppone il superamento dell’umanità inautentica, lo spirito libero, lo spirito nobile e lo spirito dionisiaco, che nella svolta pedagogica di Bertin saranno le prospettive esistenziali che si proietteranno nella costruzione del futuro. La lezione di Nietzsche è educazione alla ragione e al rigore, per il superamento delle forme parziali ed inautentiche d’umanità.
Successivamente, negli anni ’80, le riflessioni di Bertin si orienteranno, recuperando posizioni derivanti dall’esistenzialismo, verso una teoria che si delinea come progettazione esistenziale, soprattutto in Costruire l’esistenza, scritto con M.G. Contini. In questo testo recuperando posizioni derivanti dall’esistenzialismo, gli autori elaborano una teoria che si delinea come progettazione esistenziale, altra definizione se vogliamo di Progetto di Vita. Scrive Contini: “La progettazione esistenziale può essere definita – secondo l’analisi di Bertin – come l’orientamento rivolto ad elaborare, vagliare, ed unificare aspirazioni, criteri di valori e obiettivi di azione, sul piano di un quotidiano vissuto in rapporto al futuro; e cioè proteso a configurarsi non semplicemente in funzione dell’adattamento alla realtà presente, ma anche e prevalentemente in funzione di un possibile configurabile dall’immaginazione ed effettuabile mediante l’intelligenza.”
Restano impresse le parole che Bertin scrisse nella Prefazione alla 1^ edizione di Educare alla ragione nel 1968, lette oggi rivelano una lungimiranza, un’attualità ed un’urgenza che ci fanno guardare sconsolati ai quasi cinquantanni che ci separano da esse.
“(…) tutt’altro che eliminata la minaccia nucleare, sempre in atto la politica di rivalità tra le grandi potenze, non spenti pericolosi focolai di guerra, ancora in atto guerre coloniali, tre milioni di uomini morti di fame ogni mese nel mondo, per nulla superate anche negli stessi paesi evoluti sperequazioni e attriti di classe, di razza, persino di regione. La civiltà di questi ultimi sembra essere caratterizzata dal prepotere del consumo, anzichè dal rispetto della dignità e dalla preoccupazione di liberare l’uomo. Lo sforzo massimo è in essi rivolto ad intensificare la produzione e ad allargare i mercati, in modo da elevare i profitti e (subordinatamente) elavare la capacità di acquisto delle masse lavoratrici affinchè queste consumino sempre di più (…) Allo sforzo di chiarificazione dei problemi e di rafforzamento dell’energia etica che accomuna oggi gli uomini di tutte le fedi e di tuti i continenti nell’esigenza di una nuova società in cui l’uomo sia considerato non sotto la duplice veste di produttore e consumatore, ma come creatore di nuove forme di vita individuali e collettive, ci sembra non debba mancare il contributo della coscienza pedagogica (…) educare il singolo ad accettare la problematicità della condizione umana non in un atteggiamento di passività ed inerzia, ma in un atteggiamemnto di attività e di combattività, impegnato a risolvere tale problamaticità, assunta secondo le differenti e complesse situazioni in cui si presenta, in direzione e nel senso indicati dal principio di ragione”.
Un’utopia pedagogica appunto.
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Giovanni Maria Bertin, Educazione alla ragione, Armando 1968.
Giovanni Maria Bertin, Nietzsche: l’inattuale, l’idea pedagogica, la Nuova Italia 1977.
G.M. Bertin, M.G. Contini, Costruire l’esistenza, Armando 1983.
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