Attualità, Filosofia, terrorismo

Cronache europee, agosto 2016.

« Il filosofo, oggi, deve non già fare il puro filosofo, ma esercitare un qualche mestiere, e in primo luogo, il mestiere dell’uomo. »
(Benedetto Croce, Lettere a Vittorio Enzo Alfieri (1925-1952), Sicilia Nuova Editrice, Milazzo 1976, pp. X-XI.)

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Terrorismo globale, terza guerra mondiale, stati canaglia, esportare la democrazia, talebani, islam, jihad, medioriente, Europa: sono alcune delle parole chiave del presente. Come tenerle insieme in un discorso coerente capace di offrire una fotografia realistica della contemporaneità?

La capacità di leggere il reale e farne sintesi è sempre stata nel passato caratteristica dell’esercizio della filosofia si potrebbe dire anche capacità di analisi e proposta, connubio di pensiero e azione, teoria e praxi; oggi pare invece che questa attitudine socio politica, un tempo eminentemente filosofica,  venga volentieri delegata ai più vari commentatori, ai politologhi e agli opinionisti, quando non è materia per specialisti di settore: militare, geopolitico, religioso. La filosofia del resto non è più al centro della scena culturale da ormai troppo tempo per piangerne l’afonia, da nessuno in fondo lamentata se non dai pochi addetti ai lavori (culturali) insomma è inutile il peana sul disuso dell’uso pubblico della ragione se la ragione contemporanea stessa sforna simulacri di maitre a penser a la carte.

Il novecento filosofico italiano, ucciso Gentile nel 1945 a Firenze, vide a Napoli la memoria crociana continuare nell’ Istituto Italiano per gli Studi Storici, a Roma un marxismo  alla moda, a Milano l’impronta fenomenologica di Banfi e Paci e la Cattolica, a Venezia dal 1969 i transfughi severiniani, a Padova neoaristotelici e cattolici, su tutto i freudiani ….Oggi di quegli ambienti resta poco.

Se malgrado questo volessimo curiosare tra le posizioni di più o meno noti pensatori o intellettuali europei reperibili in rete sul tema terrorismo di matrice jihadista, pur nell’ambito limitato e schematico di interviste rilasciate ai media,  possiamo  avere un quadro abbastanza chiaro delle opinioni correnti, come pure del malessere occidentale che coglie l’elite intellettuale quando si applica all’autoanalisi,  oscillante da un lato tra il senso di colpa (di civiltà ) unito ad un semplicistico j’accuse anti capitalistico ( economicista) e l’appello alla “guerra santa” di una parte diversa dell’intellighenzia.

Da quanto segue si delinea da una parte un’interpretazione moralistica economica che legge le dinamiche terroristiche secondo le lenti dell’interesse economico e della responsabilità storica dell’occidente egemonico industralizzato, il terrorismo secondo questa interpretazione esulerebbe dalla mera criminalità omicida e diventerebbe simbolo di qualcos’altro, di una grave crisi culturale occidentale e di una colpa atavica. Dal versante opposto si invoca la  chiusura delle frontiere e una sorta di guerra totale al radicalismo jihadista,  intesi come strumenti di guerra di civiltà. La matrice progressista o conservatrice degli studiosi le cui affermazioni riporto traspare nell’oscillazione tra apertura umanitaria e critica al sistema di sviluppo occidentale quindi un anelito anticapitalista da una parte e una sorta di orgoglio identitario occidentale nel versante opposto.

Le cronache recenti ci ricordano che l’anno 2001 per l’occidente segna uno spartiacque tra un prima e un dopo, con l’attentato di New York si assiste all’irrompere del terrorismo nella città simbolo del potere globale. Da questa data l’opinione pubblica mondiale si interroga sulle prospettive future, tra Al Qaeda prima e Daiish ( o Stato Islamico ) oggi. A 15 anni da quei fatti la guerra in Iraq del 2003 e l’attuale situazione siriana e libica hanno contribuito a complicare un quadro già di per sè confuso e instabile. La globalizzazione, che alla soglia del nuovo secolo appariva uno scenario futuro pieno di opportunità, oggi ci consegna il caos del terrore.

La questione geopolitica nell’ambito delle lotte per il controllo strategico nell’area mediorientale è una delle chiavi di lettura nell’interpretazione dei pesi e dei contrappesi militari ed economici in questa zona; in quest’ottica la religione pare spesso solo una maschera ed è usata come strumento di potere, un meccanismo, una forma di mobilitazione politica, più consistenti le conseguenze, soprattutto per la Francia, del colonialismo che nella seconda metà del ‘900 ha dato inizio ad un nuovo processo di autonomia e instabilità nei paesi interessati,  mentre la democrazia sembra sempre più un fantoccio ideologico. I Paesi arabi sono un magma incandescente, un mix di culture e di fondamentalismi religiosi che si legano a estremismi politici, e la trama è la lotta per la supremazia tra Sciiti e Sunniti.

Utili per comprendere sono le recenti interviste a due esponenti democratici americani Hillary Clinton e Robert Kennedy (http://www.globalresearch.ca/hillary-clinton-we-created-al-qaeda/5337222http://vocidallestero.it/2016/03/21/robert-kennedy-jr-spiega-la-causa-della-guerra-in-siria/ )

L’impressione è di una spiazzante disinformazione spesso si intuisce la volontà di tacere alcuni aspetti. Emerge comunque una  disarmante disomogeneità e una triste incapacità di parlare un linguaggio condiviso, non solo in Europa ma anche a livello internazionale: l’opinione pubblica, la doxa, vede e ascolta una ridda di voci confuse, una babele ermeneutica, un coro polifonico e in tal modo non ne comprende gli orientamenti, viene così a mancare una possibile strategia di analisi e di indirizzo, un tempo così peculiare anche tra filosofi. L’immagine è quella del muro di schermi televisivi che rimandano a ciclo continuo notiziari preconfezionati, metafora cinematografica dell’overdose d’informazione.

Emerge anche a mio parere un’insicurezza nel dire le cose come stanno, la timidezza nello svolgere una semplice analisi fenomenologica tanto del mondo islamico quanto dell’Occidente in quanto tale, cioè il non essere in grado di stabilire una differenza nel confronto culturale e politico,  viene a cadere in questo aspetto uno dei principi essenziali della filosofia, la parresia, il parlar verace che è connesso alla capacità critica,  che deriva dal greco krino ( κρίνω ) che significa distinguere, separare, giudicare stimare.

L’alternativa sembra configurarsi tra il resistere al desiderio di cambiare le nostre libertà individuali a favore di un controllo totale ( tema già emerso in Europa  ai tempi del terrorismo politico ) che faccia fronte al terrorismo, arroccandosi in un’idea obsoleta di diritti ed uguaglianza  e il rinchiudersi nelle vecchie frontiere per combattere con le armi della polizia e della repressione mediate dalle nuove tecnologie. In ogni caso ciò che sembra mancare è l’idea di una concreta alternativa culturale e sociale, legata alla prospettiva di sviluppo e crescita contemperata da quanto i due secoli che ci separano dall’era dei Lumi ci hanno insegnato. L’occidente appare bloccato.

Jean Baudrillard, già nel 2001 si rivolge alla coscienza morale dell’Occidente nel suo “Lo spirito del terrorismo” asserendo con convinzione che è la “potenza insopportabile” degli Stati Uniti che ha provocato l’attentato perché le Torri Gemelle apparivano  come il simbolo di una potenza definitiva, di un Impero, che ingloba (o comunque intende inglobare) tutto dentro di sé, in un processo di fagocitosi geo-politica. E, dunque, il processo è fisiologico: di fronte ad una massiccia concentrazione e monopolizzazione del potere è naturale che si operi quello che l’autore chiama “transfert terroristico di situazione”, strumento di vendetta di chi è stato soffocato dal Sistema.

Per Edgar Morin, che ha di recente scritto un libro su Islam e occidente «Il pericolo delle idee» con Tariq Ramadan intellettuale musulmano docente a Oxford, è una questione di fanatismo, non di ideologia, e propone la questione dell’educazione, “dobbiamo aiutare questa gente affinché prevalga la coscienza e questa è una missione anche dell’insegnamento, dell’educazione.” La strada è quella dell’integrazione: “Per favorire l’integrazione è fondamentale insegnare che la multiculturalità fa parte della nostra storia. “

Per S. Zizek filosofo e psicanalista, critico del modello neoliberista  che propone un ritorno allo spirito del comunismo, l’ascesa dell’Isis è l’ultimo capitolo della lunga storia del risveglio anticoloniale, che alimentato dalla la lotta al liberismo selvaggio, germoglia come reazione conservatrice modernista, in paesi tutt’oggi arretrati: “L’unica cosa in grado di salvare i valori più importanti è una sinistra rinnovata. Affinché questo importante patrimonio di valori possa sopravvivere, il liberalismo necessita anche dell’aiuto fraterno della sinistra radicale. Questo è l’unico modo per sconfiggere il fondamentalismo: togliergli il terreno da sotto i piedi.”

Tra i più severi critici della modernità e del progressismo Alain Finkielkraut denuncia l’esistenza di un “problema dell’islam” in Francia. Bisogna essere innanzitutto capaci di designare il nemico, di ricordare ciò che oggi non è negoziabile, di stimare la popolarità dell’islamismo radicale. “la Francia si sta disintegrando. Fino a poco tempo fa riusciva bene a integrare i suoi immigrati, ma oggi in luogo dell’armonia prevale l’odio” Aggiunge:  “Sul piano delle idee dobbiamo reimparare a discernere tra l’amico e il nemico”, insiste Finkielkraut, “mentre da anni, in forza dell’antirazzismo, dell’egualitarismo, dei sensi di colpa, li abbiamo sostituiti con l’identico e l’altro, abusando di una lettura molto ideologica. Sul piano politico, non ho ricette. I politici dovranno impegnarsi a rallentare l’immigrazione, per favorire l’integrazione, selezionando fra i nuovi arrivi, tra i rifugiati e gli altri. E’ un’assoluta necessità.”

Michel Houellebecq scrittore che nel suo ultimo libro pubblicato nel 2015 ipotizzava un’ascesa “morbida” dell’Islam nella politica europea fino alla sottomissione completa dei popoli –  un libro che è “un coraggioso atto d’accusa non contro l’Islam ma contro l’Europa spompata, stanca, senza valori e senza più la forza di difendere le proprie libertà democratiche”  – accusa la classe politica francese, i governi che si sono succeduti negli ultimi anni dicendo che essi “hanno fallito penosamente, sistematicamente, pesantemente nelle questioni nazionali francesi, nelle frontiere, nel multiculturalismo e nella politica estera.”

Per Habermas la società civile deve guardarsi dal sacrificare sull’altare della sicurezza le virtù democratiche di una società aperta: la libertà degli individui, la tolleranza verso la diversità delle forme di vita, la disponibilità a immedesimarsi nelle prospettive altrui. “Nel suo modo di esprimersi il fondamentalismo jihadista ricorre a tutto un codice religioso, ma non è affatto una religione.” Habermas propone più diritti e più Europa perché il terrorismo e la crisi dei rifugiati costituiscono sfide drammatiche, forse definitive, ed esigono solidarietà e una stretta cooperazione che le nazioni europee non si decidono ancora ad avviare.

Anche Zygmunt Baumann afferma che le prime armi dell’Occidente nella lotta contro il terrorismo sono inclusione sociale e integrazione.  Identificare il “problema immigrazione” con quello della sicurezza nazionale e personale, subordinando il primo al secondo e infine fondendoli nella prassi come nel linguaggio, significa aiutare i terroristi a raggiungere i loro obiettivi, che sono quelli che concorrono ad alimentare un conflitto Islam Europa.

Per Agnes Heller allieva e collaboratrice del filosofo Lukács,la crisi migratoria rappresenta un vero e proprio banco di prova per il Vecchio continente, «che sarà repubblicano, inclusivo, federalista», o verrà schiacciato dalle sue stesse spinte centrifughe. L’Unione europea, che ha attinto alla tradizione dell’universalismo, è stata edificata con l’obiettivo di favorire la solidarietà tra le nazioni, ma il processo di costruzione non è stato accompagnato dall’emergere di una coscienza europea. L’Europa rimane un progetto burocratico, senz’anima. Heller si chiede : “È più reale la minaccia terroristica o quella della crisi economica, della disoccupazione, delle nuove marginalità sociali?”

Per Derrida, nel testo del 2003 di G. Borradori  Filosofia del terrore – Dialoghi con Jürgen Habermas e Jacques Derrida,  la modernità possedeva già ab initio le premesse per lo sviluppo di una patologia, anzi il terrorismo ha messo a nudo proprio il meccanismo di autoimmunizzazione intrinseco alla modernità. Mentre creava gli stati nazionali, il capitalismo, il diritto internazionale e la tolleranza, la modernità illuministica preparava già le condizioni per un suo suicidio, alla stessa stregua in cui gli americani hanno addestrato per anni gli stessi rivoluzionari islamici che sono diventati i terroristi fondamentalisti che l’hanno colpita al cuore, anzi alla testa. Per questo, afferma Derrida, bisogna andare oltre il politico, oltre il legale e pensare l’impensabile, perdonare l’imperdonabile e sostituire la tolleranza con il concetto più flessibile e aperto di ospitalità incondizionata, che si apre all’altro senza aspettative, regole o imposizioni. Un compito immane.

Per Michel Onfray  la Francia c’è sempre stata quando bisognava picchiare sui musulmani: in Afghanistan, in Iraq, in Libia, in Mali. Sarebbero quattro milioni i musulmani morti dalla prima guerra del Golfo ad oggi, in nome di una battaglia per i diritti umani contro la barbarie. E si vorrebbe che l’Islam non vendicasse i suoi morti? E le pretese politiche di integrazione hanno alimentato indigenza, rabbia e manodopera criminale, «Per ridurre il costo del lavoro e proletarizzare la manodopera, l’ Europa ha visto di buon occhio un’ immigrazione massiccia. Ma questo proletariato potenziale, poi, ha iniziato ad ambire a un impiego reale. Parigi si è svuotata del suo popolo, rigettato nelle periferie dagli Anni Settanta. La città è diventata sociologicamente tossica. E le banlieue delle zone di non diritto, dove la droga e i traffici di ogni tipo sono moneta corrente, senza che la polizia possa opporsi. In un mondo dove i soldi fanno la legge, non averne ti trasforma in paria. Alcuni di questi paria sono diventati vettori di una rabbia canalizzata dall’ Islam radicale»

In Italia Severino afferma che il terrorismo ha molteplici linee di derivazione e che il destino della guerra che verrà è l’episteme tecnologico che tutto sottende:  “Definire il terrorismo come esclusivamente terrorismo islamico fondamentalista è, dunque, improprio. Vi sono altre componenti: anzitutto il disagio, il risentimento degli emarginati. Ma anche la sublimazione di patologie mentali: la sublimazione, dico, nel senso di una giustificazione religiosa, ma anche nel senso dell’esibizione di un coraggio cieco e assoluto di fronte alla morte. Perché questa gente appartiene alla categoria dei candidati al suicidio. Temo anzi che saranno sempre di più, tra quanti pensano al suicidio, quelli che risolveranno il problema motivandolo religiosamente o politicamente o ideologicamente». Sulla tecnica : “Ognuno dei contendenti deve aumentare all’infinito la potenza. Ma in questo modo l’incremento della potenza, grazie alla tecnica, occupa sempre più spesso l’area dello scopo che la forza in conflitto si propone di realizzare». Il teorema fondamentale: la Tecnica da mezzo diviene scopo, e così riduce inevitabilmente al silenzio gli scopi per i quali i confliggenti – un tempo gli USA e l’URSS, oggi l’Occidente e l’Islam – sono scesi in campo.

Massimo Cacciari pone l’accento sulla questione della razionalità che l’occidente deve opporre se vuole combattere il disegno eversivo jihadista “La strategia dei fondamentalisti, purtroppo, ha una sua razionalità. Noi dunque dobbiamo mettere in campo «una razionalità politica altrettanto forte e opposta, partendo da un discorso di verità, senza coprire tutto con la retorica di guerra, come un ubriaco che canta per farsi coraggio» Sulla possibilità di una guerra “Poi, certo che ci dev’essere anche un intervento militare, ma dev’essere chiaro l’obiettivo. La priorità è sconfiggere l’Isis? Allora l’alleanza è con la Russia, l’Iran e i curdi, vi va bene? In tal caso bisogna parlare con la Turchia, con l’Arabia Saudita e ovviamente anche con Putin, che nel frattempo abbiamo messo sotto embargo per la questione dell’Ucraina.”

Per Umberto Galimberti ogni guerra è inevitabilmente un fallimento della cultura e della civiltà e “Le motivazioni delle guerre in realtà sono sempre molto laiche, i conflitti vengono scatenati per concreti interessi, mai per questioni religiose, eppure ogni volta che c’è un deficit di giustificazione si finisce per fare le cose in nome di Dio.” Il terrorismo è l’arma dei deboli, di chi è stato sfruttato e reagisce, è conseguenza “ del modo in cui l’Occidente in generale guarda ai Paesi arabi. Li guarda con l’occhio di chi intende accaparrarsi le loro ricchezze”. Il modello occidentale è un problema, “l’Occidente consuma l’87 per cento delle risorse del mondo, è evidente che se vuole mantenere il proprio tenore di vita deve andare ad accaparrarsi le ricchezze ovunque esse siano.” La democrazia è di per sé è una parola vuota, un sottoprodotto dell’economia, “quando la gente sta bene è democratica, quando sta male si scanna.” Dal punto di vista sociale Galimberti afferma che “le grandi trasformazioni storiche dipendano dalle condizioni delle donne.” Sullo stile di vita afferma che “Ci sarà quindi inevitabilmente un processo di attrazione e io penso che ci sarà anche un processo di progressiva laicizzazione del mondo islamico. Non vorrei che i musulmani vedessero in questa laicizzazione un pericolo. Penso che all’Islam, un processo di laicizzazione non possa che far bene.” Galimberti conclude “”Non credo al dialogo tra le culture diverse. Credo nel rispetto. Per comprendere il mio interlocutore dovrei entrare nella sua simbolica, che non è la mia. E non so se ho gli strumenti per capire la simbolica di un musulmano.”

Per Gianni Vattimo, filosofo che si è speso per la politica in diverse formazioni non nascondendo mai le proprie “origini comuniste”, afferma di  sperare “nella secolarizzazione della mentalità islamica che diminuirebbe i fanatismi” afferma inoltre che “Il mondo occidentale ha deluso le aspettative dei musulmani che lo hanno scelto”. La strategia deve essere disinnescare il malessere delle periferie, attivare una integrazione migliore. Il terrorismo è sicuramente negativo ma la libertà nella quale viviamo è imperfetta, è una pseudo-libertà. “Io voglio difendere il nostro mondo coi i valori che ha ma essendo consapevole anche della quantità di disvalori che sono responsabili del disamore di tanti musulmani verso la nostra cultura».

Per Danilo Zolo, –  la cui tesi è che il discrimine fu segnato dalla fine dell’impero sovietico, dal rapido declino del bipolarismo nei rapporti internazionali e dall’emergere degli Stati Uniti come la sola potenza politico-militare in grado di affermare la propria egemonia a livello globale –   è necessario in via preliminare intendersi sul significato di terrorismo globale “il terrorismo non è una emanazione esclusiva del cosiddetto fondamentalismo islamico. In realtà, non c’è un solo terrorismo, ma ce ne sono molti e che si esprimono in forme diverse ed entro contesti differenziati.” Il terrorismo che si è sviluppato all’interno del mondo arabo-islamico – incluso il terrorismo suicida – è una risposta strategica all’egemonia del mondo occidentale, è una rivolta contro la soverchiante potenza dei suoi strumenti di distruzione di massa e all’esteso controllo militare che esercita sui territori dei paesi che sono stati storicamente la culla dell’islam. Afferma che  “sembra ormai innegabile che mentre il terrorismo, nelle sue varie espressioni, va assumendo sempre più le forme di una «guerra civile globale» – per usare l’espressione di Carl Schmitt -, la «guerra globale» contemporanea ha assunto sempre più le caratteristiche del terrorismo.” Il fallimento dell’esportazione della democrazia in stile Bush spinge a pensare diversamente “L’alternativa sarebbe in teoria semplicissima, anche se nella pratica oggi è di ardua se non impossibile realizzazione. Occorrerebbe liberare il mondo dal dominio economico, politico e militare degli Stati Uniti e dei loro alleati europei. La fonte prima, anche se non esclusiva, del «terrorismo globale» è infatti lo strapotere dei nuovi, civilissimi «cannibali»: bianchi, cristiani, occidentali.” Per Zolo l’ordine mondiale dipenderà dalla capacità dell’Europa di essere europea, e cioè sempre meno atlantica e sempre meno occidentale: un’Europa orientata a svolgere un ruolo autonomo nel Medio Oriente e nell’Oriente asiatico. L’emergere di grandi potenze regionali come l’India e la Cina rischia altrimenti di fare del Pacifico il nuovo epicentro egemonico del mondo, emarginando ancora una volta l’Europa, il Mediterraneo e i loro valori.

Massimo Fini, giornalista, storico, autore di provocatorie tesi sulla legittimità del terrorismo come risposta alle prevaricazioni occidentali e di una biografia del leader dei Talebani, è drastico nell’indirizzare a europei e americani l’accusa di fomentare odio: ” l’Occidente è entrato con le bombe in una guerra che era tutta loro, quella tra sciiti e sunniti. E loro hanno reagito a modo loro, col terrorismo e i kamikaze” e aggiunge : “L’Occidente paga tutta una serie di errori e di orrori che ha fatto a sua volta in Medio Oriente, parlando solo degli ultimi decenni senza prendere in esame tutto il periodo coloniale”

Ipse dixit.

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