Den Bosch è una piccola cittadina del Brabante settentrionale olandese – nei pressi del confine con il Belgio, antico possesso dei duchi di Borgogna – che ha dato i natali a Jeroen Anthoniszoon van Aken comunemente noto con il nome d’arte di Hieronymus Bosch. Ufficialmente il nome corretto della cittadina sarebbe s’-Hertogenbosch, Bosco del Duca abbreviata a Den Bosch e Hieronymus è il suo più illustre cittadino. Quest’anno il Noordbrabants Museum ha organizzato, per i 500 anni dalla nascita dell’artista, una mostra evento ed il bilancio di chiusura di Jheronimus Bosch. Visions of genius, (https://www.bosch500.nl/) questo il nome dell’esposizione, è andato ben oltre i pronostici: sono stati infatti 421.700 i visitatori solo nel periodo 11 febbraio / 8 maggio. Nel cinquecentenario della sua morte, avvenuta nel 1516, l’arte del visionario maestro olandese ha quindi fatto ritorno nella città dove nacque e da dove pare mai si mosse, ottenendo un enorme successo.
Hieronymus Bosch non datò mai i suoi quadri e ne firmò solamente alcuni. Il re Filippo II di Spagna fu appassionato collezionista dei suoi lavori e perciò la Spagna è oggi il paese che in assoluto possiede il maggior numero di opere del pittore, soprattutto al Museo del Prado e al Monastero dell’Escorial a Madrid. Della sua pittura si dice che sia visionaria, allucinata, mostruosa, simbolica, la sua tecnica sbalorditiva per uso di colori e cura del dettaglio, i suoi personaggi inquietanti e caratterizzati da deformità, metamorfosi, pose e atti surreali; eppure alla pari dei suoi colleghi di allora i temi trattati dall’artista fiammingo sono rigorosamente religiosi ma è l’effetto, la resa che è strabiliante. Bosch è un enigma. Basti citare, per tutti, il quadro più famoso “Il Trittico delle delizie” conservato a Madrid, un tripudio di allegorie e simboli composto da tre pannelli collegati e richiudibili. Quest’opera straordinaria è composta da un pannello di sinistra che rappresenta il giardino dell’Eden nell’attimo in cui Dio presenta Eva al cospetto di Adamo il quale sembra appena svegliato da un sonno profondo e scopre il Signore al suo fianco che sorregge Eva per un polso donando la propria benedizione all’unione fra i due; nella parte centrale e superiore del dipinto si scorgono paesaggi ameni e acque limpide, strane costruzioni monumentali e animali misteriosi; il pannello nella parte centrale dell’opera rappresenta un fantastico giardino acquatico dai colori smaglianti e traslucidi in cui una moltitudine di uomini e donne si dedicano senza pudore ai più diversi giochi erotici, un paradiso terrestre che contrasta con il pannello laterale di destra che invece rappresenta una mostruosa scena apocalittica infernale, roghi notturni, mostri feroci e diabolici, guerre, sevizie e oscurità. Quando le ali laterali del trittico vengono ripiegate e chiuse sulla parte centrale è visibile il disegno sui pannelli esterni, una rappresentazione del mondo sferico, si dice un’allegoria della Genesi, al terzo giorno.
Il significato globale dell’opera sembra voler raffigurare il dono divino della Terra, che ha come destino possibile per le specie il paradiso ma che l’uomo trasforma in luogo infernale, con i suoi vizi e le sue malvagità. Bosch, appartenente ad una confraternita laico religiosa dedita al culto mariano e ispirata all’opera di Jan van Ruysbroek che scriveva “La purità di spirito conserva l’uomo simile a Dio” – confraternita detta di Nostra Diletta Signora – fu particolarmente sensibile alla rappresentazione pittorica dei peccati e delle crapule umane, accidia, superbia, gola soprattutto e lo fece in forma di condanna e di stigma del cammino terreno dell’uomo verso la redenzione, fu anche sensibile ai vizi del clero che raffigura spesso in gozzoviglie sfrenate.
Della poetica e dell’estetica di Bosch nel tempo si è detto e scritto un po’ di tutto, di misticismo, di alchimia, che fosse ispirato a un’eresia clandestina che prevedeva il nudismo e il libero amore, che fosse un moralizzatore e precursore delle istanze della Riforma, che nei suoi dipinti volesse colpire la Chiesa dei vizi e della corruzione, insomma i secoli non hanno certo aiutato la comprensione quanto piuttosto alimentato le suggestioni.
Venezia da sempre ha la fortuna di avere a disposizione alcune opere di Hieronymus Bosch tra cui una serie di quattro pannelli dipinti a olio detti “Visioni dell’al di là” di datazione incerta, conservati ora nel restaurato e da poco riaperto al pubblico Palazzo Grimani in Ruga Giuffa, che fu sede originale delle opere di Bosch; questi pannelli infatti furono acquistati dal Cardinale Domenico Grimani stesso, uomo di vasta cultura ed amante delle arti e delle lettere nonché uno dei più celebri collezionisti della sua epoca, deceduto nel 1523 il quale lasciò i dipinti alla Repubblica Serenissima. Nel 1521 infatti si attesta in casa del cardinal Grimani la presenza de: « La tela dell’Inferno con la gran diversità de mostri fu de mano de Ieronimo Bosch. La tela delli Sogni fu de man de l’istesso ». Storicamente conservata e visibile a Palazzo Ducale nella Stanza dei Tre Capi del Consiglio dei Dieci, posta tra la sala del Consiglio dei X e quella degli Inquisitori – salvo il periodo tra il 1838 e il 1919 quando furono trasferite a Vienna – di proprrietà delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, quest’opera è attualmente, come detto, conservata in una sala appositamente approntata nel Museo di Palazzo Grimani con Il Trittico di Santa Liberata e il Trittico degli Eremiti ove tutti i dipinti veneziani di Bosch tornarono nel 2011. A gennaio 2016 a Venezia si è tenuta la presentazione del restauro di due dei tre polittici: il Trittico di Santa Liberata e le quattro Visioni dell’Aldilà, predisposto appositamente in vista delle celebrazioni europeee per il cinquecentenario ( le opere veneziane saranno in “trasferta” fino a dicembre 2016).
Oggi gli studiosi accreditano l’ipotesi che le Quattro visioni dell’Aldilà fossero in origine parte di un insieme organizzato intorno ad un Giudizio Universale e si presume che le tavole siano state in seguito separate dal pannello centrale poco dopo la morte dell’autore e, così scomposte, immesse sul mercato. Questa opinione non è accettata unanimemente e si considera plausibile anche la separatezza dei pannelli, pur contigui ad un probabile Giudizio Universale. Fatto sta che i pannelli di dividono in due raffiguranti Il paradiso terrestre e L’ascesa all’Empireo e altri due invece rappresentanti La caduta dei dannati e L’inferno; i primi vedono paesaggi idilliaci, i secondi visioni terribili di demoni e dannazione, da una parte la luce di Dio dall’altra le tenebre del male. Un ampio campionario di figure soprannaturali (angeli, demoni, mostri) occupa i quattro pannelli, che raffigurano simbolicamente la mediazione per la migrazione delle anime nei vari circoli dell’al di là: Paradiso, Inferno, Empireo. L’intera scena è dipinta in forti contrasti chiaroscurali, mentre i colori densi alternano bagliori improvvisi e tratti graffianti, creando un’atmosfera onirica di incredibile suggestione.
“L’opera è assegnata al medio periodo (1500-3) della produzione di Bosch, per via della grande libertà di impaginazione spaziale e per la sofisticata e misteriosa trama di rimandi sapienziali che sostituisce la tessitura allegorica più calata nell’aneddoto delle opere precedenti. Probabilmente l’artista fu influenzato dal pensiero mistico brabantino dei secoli XIV e XV e in particolare dal clima di tensione rigoristica dovuto all’opera di Jean van Ruysbroeck e al movimento della Devotio moderna. Un testo di Ruysbroeck, l’Ornamento delle nozze spirituali, sembra potersi leggere dietro alle soluzioni iconografiche dei dipinti perché vi si trova la connessione Dio-abisso di luce, qui identificabile nel magnetico risucchio luminoso del tunnel verso cui tendono i beati accompagnati dagli angeli nell’Ascesa all’Empireo.” (Arthemisia Group Alessandra Zanchi 2011). Walter Bosing in un saggio del 1973 “Tra paradiso e inferno” scrive dei quadri veneziani che sono unici per la loro pregnanza e semplicità, ispirati all’opera di Dieric Botus ,“Paradiso e inferno vengono intesi secondo la concezione spirituale dei mistici”.
Dei quattro colpisce L’ascesa all’Empireo che raffigura il momento del passaggio celeste: Bosch raffigura cinque anime nude di cui tre sono accompagnate da coppie di angeli, mentre le ultime due – quelle più vicine all’ingresso di un tunnel di luce – vengono sospinte da un angelo guida; il tunnel di luce è la parte più interessante che occupa la zona superiore del dipinto e al cui fondo, in attesa, si intuisce una figura sfumata, lievemente accennata, divina e misteriosa sulla soglia della luce infinta. Questa iconografia è unica nella storia dell’arte e non è dato sapere quale sia stata l’ispirazione di Bosch. E’ singolare che questo pannello rappresenti in maniera quasi letterale quanto ricordano, nei testi di Raymond A. Moody pubblicati tra gli anni ’70 e ’90 del ‘900 sulla near death experience ( NDE), i testimoni intervistati dall’autore, o, per citare un esempio recente a noi vicino, la vicenda di Andrea Sardos Albertini, “(…) finché la mia anima ha imboccato il lungo tunnel, l’entrata ti attrae perché vedi in fondo al tunnel una grandiosa Luce che ti chiama (…)”.
Bosch fu un artista sicuramente geniale: «Difficile definirlo – spiega Matteo Ceriana direttore dei lavori di restauro a Venezia del 2016- le sue opere sono sempre narrazioni complesse, ricche di particolari da decifrare, spesso dipinte anche nel retro. Un dipinto di Tiziano si legge nel suo insieme, un quadro di Bosch è come una mappa, al suo interno ci sono percorsi che devi seguire poiché le invenzioni si alternano e si intrecciano, è quasi un testo da decodificare. La sua straordinaria modernità sta proprio nel aver tradotto un universo iconografico medievale fatto di bestiari umani e animali con una regia e un montaggio interni alla narrazione dell’immagine assolutamente nuovi e moderni». (http://ilpiccolo.gelocal.it/tempo-libero/2016/01/16/news/bosch-il-mistero-dipinto-in-tre-opere-veneziane-che-andranno-in-olanda-1.12790492)