Mai si è troppo giovani o troppo vecchi per la filosofia diceva Epicuro, un dato che le neuroscienze confermano a proposito di plasticità del nostro organo di pensiero nel corso della vita intera: la formazione continua infatti è il nuovo orizzonte di sviluppo e crescita dell’essere umano, un continuo riplasmarsi cognitivo esistenziale. Invece se pensiamo ai ragazzi, come scrive Laurence Steinberg, professore universitario specializzato in sviluppo infantile e adolescenziale, sappiamo che l’adolescenza è l’età delle opportunità. Così come è anche l’età del rischio, dei comportamenti a rischio ma anche del fraintendimento pregiudiziale degli adulti verso gli adolescenti che andrebbero piuttosto accompagnati nel loro entrare nel mondo, prendendoli sul serio piuttosto che controllati e giudicati come invece spesso accade.
A questo proposito: cosa può dare la pratica filosofica a quel tempo di formazione che verte su quell’età critica e fragile, in cui le relazioni interpersonali assumono un ruolo centrale e la conquista dell’identità è faticosa? Questa era la domanda che guidava i Laboratori svolti nel 2016 (Idee per la testa) e che in quest’anno scolastico ha trovato una parziale risposta nei Laboratori filosofici per ragazzi dal titolo “Cittadini del futuro” .
Il Laboratori si sono svolti tra gennaio e aprile 2021 nelle classi seconde della scuola secondaria di primo grado di Cavallino Treporti “Vittore Carpaccio” nella Città Metropolitana di Venezia proponendo il Debate come modalità di lavoro in forma ridotta condensati in due incontri. Il primo incontro è servito a presentare le attività e a predisporre il lavoro preparatorio per il secondo. Ho proposto il Debate come esercizio di pratica filosofica sul modello delle attività reperibili su Rai Play nel programma Zettel a cura di Maurizio Ferraris e Felice Cimatti, (Zettel – che significa “foglietti” – è un testo di Ludwig Wittgenstein, pubblicato da Einaudi nel 2007), mostrando ai ragazzi uno spezzone di un vero Debate in un Liceo. Successivamente alla classe ho proposto, data l’esiguità di tempo un modello “semplificato” in cui era loro richiesto di identificare un tema condiviso e di suddividersi in 3 gruppi: gruppo PRO, gruppo CONTRO, gruppo dei giudici. Nel secondo incontro quindi i ragazzi realizzavano il Debate e di seguito proponevo una meta riflessione, un dibattito sul dibattito sulle modalità di lavoro e sui risultati ottenuti.
Perché la filosofia a scuola è presto detto. Il tempo della vita trascorso nella scuola dell’obbligo è l’unico momento in cui un giovane ha la possibilità di sperimentare il proprio daimon e individuare la propria specificità per farla fruttare nel suo futuro. La filosofia apre la mente dell’uomo al pensiero libero, insegna a porre le domande giuste e a non dare risposte affrettate, costringe a dare ragione di ciò che si pensa e di ciò che si dice. Se è proprio dell’adolescenza l’acquisizione graduale di una sempre maggiore consapevolezza etica, cioè nell’assumere i propri atteggiamenti e compiere scelte, conquistare gradualmente il senso della propria libertà e non seguire passivamente ciò che dicono o fanno gli altri, allora bisogna fare esercizio di filosofia.
Se lo si fa a scuola allora la filosofia entra in classe e deve parlare il linguaggio degli studenti per farsi capire, per creare un rapporto, soprattutto non può presentarsi con la veste del dotto che elargisce perle di antica saggezza con colte citazioni. La filosofia deve farsi, cioè mettersi in atto, essere l’esercizio di amore e sapere che incarna e spogliarsi degli orpelli dottorali del passato. Questo non significa che la filosofia debba farsi adolescente o adattarsi all’età, tutt’altro, significa che può trovare la strada giusta per essere sé stessa e contribuire alla formazione, all’autocontrollo e all’autoregolazione dei ragazzi, alla consapevolezza e alla responsabilità, obiettivi così difficili da intravedere in questa età. Non si deve confondere questo con un prescrittivo esercizio di adultità, che è un concetto vago e ormai fuori uso in quanto non quantificabile né tantomeno contenibile in ipotetiche età di riferimento. Obiettivo, la presunta adultità appunto, che il mondo del lavoro costringe a inseguire molto presto. Si può intenderlo come un esercizio di umanità, affinamento di quelle qualità propriamente umane che la filosofia greca con Platone e Socrate ha mostrato e indagato.
Una strada possibile è il Debate metodologia che ormai da tempo viene svolta nelle scuole di tutto il mondo. Dal punto di vista didattico il «debate» è una metodologia per acquisire competenze trasversali («life skill»), che favorisce il cooperative learning e la peer education non solo tra studenti, ma anche tra docenti e tra docenti e studenti. Il debate consiste in un confronto fra due squadre di studenti che sostengono e controbattono un’affermazione o un argomento dato dal docente, ponendosi in un campo (pro) o nell’altro (contro). Il tema individuato è tra quelli poco dibattuti nell’attività didattica tradizionale. Dal tema scelto prende il via il dibattito, una discussione formale, dettata da regole e tempi precisi, preparata con esercizi di documentazione ed elaborazione critica; il debate aiuta i giovani a cercare e selezionare le fonti con l’obiettivo di formarsi un’opinione, sviluppare competenze di public speaking e di educazione all’ascolto, ad autovalutarsi, a migliorare la propria consapevolezza culturale e l’autostima. Il debate allena la mente a non fossilizzarsi su personali opinioni, sviluppa il pensiero critico, arricchisce il bagaglio di competenze. Queste attività si inseriscono nel curriculo di educazione civica e cittadinanza. In Italia il riferimento è la piattaforma Indire, del Ministero dell’istruzione, che tra le proposte didattiche innovative (Avanguardie Educative) elenca il Debate come una delle “Idee” del Movimento.
Leggendo oltre i tecnicismi lessicali delle scienze della formazione contemporanea si può comprendere come il legame tra conoscenza e formazione sia di sovrapposizione di piani. La conoscenza attiene alle connessioni tra il sapere, la rielaborazione del sapere e la capacità di auto indirizzare il frutto della rielaborazione personale: l’autoregolazione che subentra tra conoscenza, cognizione e metacognizione. Questo lavoro del pensiero è la natura più intrinseca dell’esercizio della filosofia. Nel Debate è presente questo processo formativo.
Dal punto di vista filosofico il Debate – che tradotto sta per argomentare e dibattere – è una delle maschere della filosofia. Il Debate è la rappresentazione di una disputa ma la disputa ha origine nella filosofia greca antica almeno a partire dalla polemica contro i sofisti Gorgia e Protagora. E’ noto che questi furono duramente criticati da Platone e Aristotele che li consideravano dei “mercenari del sapere”, eppure sofista deriva dal termine σοφιστής, cioè sophistés, (sapiente) ed era sinonimo di σοφός , sophòs,( saggio). Non si può dimenticare che i sofisti furono i primi ad elaborare il concetto occidentale di cultura (paidéia), intesa non come un insieme di conoscenze specialistiche, ma come metodo di formazione di un individuo nell’ambito di un popolo o di un contesto sociale. Certo esistono argomenti più che solidi per comprendere le critiche ai sofisti : il relativismo etico per cui tutto è giustificato nel nome dell’individuo, il fatto che si rivolsero solo agli aristocratici e ai “nuovi ricchi” ai ceti emergenti facendosi pagare da chi poteva permetterselo, il fatto che in sostanza insegnavano a parlare in pubblico, l’arte della retorica era per loro quindi importante come metodo di comunicazione funzionale al successo mondano e politico. Infatti da qual momento queste furono competenze utili alla formazione politica in età greca – e poi ancor più ellenistica, – in cui educazione e paidéia erano strettamente connesse con gli studi di retorica, logica, etica, ed eloquenza. Lo studio dell’argomentazione è stato parte integrante della formazione culturale nelle discipline del quadrivium, che Platone espone nella Repubblica, e che fungono da preludio al dialegesthai, (il dialogo) il cui scopo è formare uomini capaci di dare e rendere ragione (logos) di ciò di cui si parla. Le materie del trivium erano la grammatica, la retorica, la dialettica.
Pensiamo inoltre allo sviluppo della riflessione linguistica novecentesca che questa genealogia ci può mostrare. A partire, nel primo ‘900, con Husserl delle Ricerche logiche e Heidegger (“il linguaggio è la casa dell’essere”) e da Wittgenstein, che nelle Ricerche filosofiche, scriverà: “La filosofia è una battaglia contro l’incantamento del nostro intelletto, per mezzo del nostro linguaggio”, passando per la teoria argomentativa e quella comunicativa di Watzlawick. Oppure la pragmatica normativa di Habermas e Apel e la filosofia come creazione di concetti di Deleuze e Guattari e la lezione della P4C in cui il dialogo diventa un ragionare con il discorso. Il filo rosso è riassumibile in ciò che affermava Jerome Bruner quando scriveva che “Pensare è andare “al di là delle informazioni che ci sono state fornite”.
Il punto focale è però proprio questo, anche oggi: la formazione del cittadino alla vita pubblica non dovrebbe per forza passare per una corretta (propedeutica e preliminare) preparazione alla eloquenza, alla retorica e alla comunicazione ? E la capacità di distinguere, criticare, argomentare, scegliere opzioni per decidere non è propriamente filosofica almeno da Socrate in poi? E ancora, non sono queste competenze strettamente filosofiche? Il cosiddetto carattere “filosofico” – che i professionisti della pratica filosofica tendono a voler sottolineare e mettere in evidenza, – nel Debate è esattamente questo: il processo formativo (e cognitivo) del cittadino è strettamente collegato anche a competenze logico/argomentative e dialettiche.
Nella scuola odierna queste abilità sono scarsamente coinvolte e solo di recente si è cercato di porre attenzione allo sviluppo di competenze sociali e di cittadinanza attiva. La mancanza di una formazione al pensiero critico, alla riflessione argomentata, all’analisi dei concetti, tipici della filosofia genera cittadini sprovvisti delle più elementari basi utili al ragionamento e alla costruzione dell’identità individuale che matura nel sociale. Il metodo dialogico inaugurato da Socrate libera la coscienza e problematizza, radicalizza il pensiero portando a universalizzare verso le categorie concettuali che rappresentano i cardini del pensiero umano e verso l’apertura alla ricerca.
L’ultima riflessione è dedicata al rapporto tra filosofia e formazione. Potremmo prendere spunto dalla domanda di Nietzsche in Umano troppo umano, il testo del distacco dal fanatismo wagneriano: perché il conoscere è congiunto al piacere? E così seguendo la riposta del filosofo tedesco per inquadrare il contesto di sviluppo di sé e crescita che il costrutto formazione rende esplicito. “Primo e soprattutto, perché in esso si acquista coscienza della propria forza. Secondo perché nel corso della conoscenza si superano si vincono o almeno si crede di vincere le idee vecchie. Terzo, perché da una nuova conoscenza, sia pure molto piccola, ci sentiamo elevati.” Se la scuola oggi non riesce a infondere il piacere della conoscenza, della scoperta, del dialogo, del confronto e della ricerca come peculiarità dell’essere umano manca clamorosamente i suoi obiettivi primari: garantire libertà ed eguaglianza ma soprattutto lo sviluppo della personalità del discente per la partecipazione alla vita pubblica, come del resto stabilisce la Costituzione italiana del 1947.
In questo senso è necessario intendere la formazione come un composto di paidéia e Bildung ripensate rispetto all’attualità socio-economica e culturale, se la paidéia fu il processo educativo per lo sviluppo psico fisico e politico del giovane cittadino greco inserito nel contesto della polis, la Bildung rappresenta il concreto processo di umanizzazione, tale processo ha come obiettivo l’elevazione del cittadino al massimo grado possibile di sviluppo personale, per realizzare cioè completamente la propria natura. Oggi nella società globale il sapere sull’educazione si delinea sempre più come formazione, che pare appiattirsi sulla formazione come addestramento e adattamento al modello economicistico attuale. Su questo la filosofia deve rivendicare il suo ruolo “forte”: proprio per il processo che mette in atto nella persona, quello sviluppo integrale del soggetto nel mondo. Chi non accetta o non è in grado di andare oltre il compito dell’educarsi e dell’istruirsi, non potrà dare consistenza al progetto formativo personale, per altro mai finito, che pervade tutta l’esperienza di vita che si prefigura come continua rielaborazione di un tema costante. I cambiamenti e le evoluzioni che questo processo favorisce e attua si situano sul versante esistenziale del soggetto e coinvolgono sempre più quasi l’intero arco della vita umana.
A questo obiettivo la filosofia, che si tenta di espellere dal corpo scolastico con argomenti puramente e follemente funzionali al sistema socio economico capitalista odierno, può ambire, – anche attraverso il debate – a riassumere il ruolo storico che le appartiene. In questo scenario la domanda è: cosa può fare la pratica filosofica a scuola nell’area delle capacità di pensiero, nell’era nichilistica della razionalità liberale, nell’età delle opportunità, l’adolescenza?
Uno dei presupposti essenziali per lo sviluppo della persona è che ogni individuo possa raggiungere le condizioni per maturare appieno le proprie risorse quando è in grado di analizzare in modo corretto la realtà, di individuare dei valori e poi scegliere in modo soggettivamente assoluto.
Deum sequi e se noscere. Seguire il demone che tiene i fili della propria vita, conoscere se stessi, vivere una vita degna e mettere a frutto i propri talenti. Fare filosofia a scuola è anche formare il cittadino, conferendo un profilo di riconoscibilità al mondo della vita e una forma propria alla costituzione della soggettività, attraverso l’intelletto, il linguaggio e la dialettica e per una formazione all’etica della complessità che caratterizza il tempo attuale.